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Odio le facce telegeniche e i vestiti rossi delle persone simbolo delle proteste, le foto simbolo del giorno su Repubblica.it e quelle simbolo di una generazione, odio quelle parole d’ordine delle rivendicazioni sociali che sussumono un insieme di esperienze molteplici e irriducibili, odio le azioni simboliche messe in atto per “sensibilizzare” un possibile pubblico come quasi si fosse in teatro. Odio i simboli in generale per come l’intende oggi il linguaggio diffuso: cancellano le persone impoverendo le personalità sotto un’identità collettiva priva di spessore e sciapa, retaggio del pastorato cristiano e della finta orizzontalità democratica. Lo scarto, al contrario, mi pare non rappresenti che la concretezza della sua esistenza, fuggendo così dalla stabilità edificante del simbolico per l’incontro con l’impossibile.